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LE VIE PERDUTE
Un itinerario per non dimenticare

Ho ricevuto da Alfredo Varano l' opuscolo "le vie perdute", che mi era piaciuto leggere in occasione della passeggiata organizzata dall'ARA il 13 agosto trascorso, ed ho pensato che possa piacere anche a voi....
BUONA LETTURA

P.S. Se qualcuno invia qualche bella fotografia illustrante il percorso, sarò lieto di pubblicarla.

   
Ogni scena della vita che cammina e che si consuma si fissa negli abissi impenetrabili e remoti della mente e dell’anima. Col tempo, prima o poi, molte di esse riaffiorano alla memoria per essere ripercorse e, si fa per dire, rivissute, fotogramma per fotogramma. La mente conserva anche gli odori, e quando si combinano le giuste condizioni, resti di lontane vicende si schiariscono e si proiettano sullo schermo della memoria. Tutto ciò, senza la pretesa di voler insegnare nenta a nessuno, sono i ricordi; che qui intendiamo come memoria storica e non come sentimento malinconico per rimpiangere tempi trascorsi.
Ed è proprio sulla memoria storica, questo patrimonio del passato ancora vivo, che l’Associazione Romana degli Andreolesi vuole porre l’attenzione. L’A.R.A., unca, per trasmettere, conservare e far rivivere alcuni aspetti dei modelli culturali paesani, ha pensato di organizzare una passeggiata lungo ‘i vijòla battuti e consumati dai nostri antenati.
Un percorso escursionistico per educare alla lettura del territorio e della storia; un modo elementare, come il camminare, per ascoltare, intendere ciò che è accaduto e favorire la cura del nostro ambiente. ‘Nzomma, andare per questi sentieri è anche un buon modo per rimanere collegati ai nostri progenitori e occuparsi con premura del nostro passato nonché, appuntu e perciò, di noi stessi.

All’inizio si era pensato di ripercorrere la strada degli antichi mulini, partendo dai ruderi che si trovano sul torrente Salubro, per poi raggiungere il mulino di Pontecari, quello sulla fiumara di Alaca, edificato alla fine del ‘600, di proprietà dei marchesi Lucifero. Poi, viste le difficoltà serie, dovute al percorso molto impegnativo e all’inaccessibilità di alcuni tratti, si è optato per un itinerario più breve, accessibile a chiunque, ma non meno importante dal punto di vista storico-culturale e paesaggistico.
Comunque, la possibilità di compiere il tragitto prescelto esiste grazie all’impegno dei soci del Circolo Cacciatori “Stillo Bruno Pistùalu”, che si sono prodigati a ripulirlo dai rovi e da altre infinite piante e arbusti che lo avevano completamente colonizzato già da parecchi anni.

La partenza è prevista per il 13 Agosto, alle 17,30, dalle Madonnelle di Matalena, poco più sotto della casa che una volta apparteneva a donna Cuncettina Migali. Percorse poche centinaia di metri in piano, la strada comincia a scendere leggermente fino all’affaccio di Vriga, dove il panorama si allunga sullo strapiombo ‘e Saluru e si estende verso il mare, i timponi di Badolato e S. Caterina e i monti Portella e Cavallera. Proprio cca’, prima che la pista inizi a scendere seriamente, molti anni arrìadi c’era una piccola pozza d’acqua che trasudava da uno spuntone di scoglio. Tanto tempo fa, in una giornata come tante, nella tarda mattinata, Marianna Vivino tornava con la figlioletta da un fondo che aveva sul Salubro. Dopo aver fatto tutta la petta la bambina si staccò dalla madre, si accostò a quella gurna e si chinò per bere, raccogliendo l’acqua nell’incavo delle piccole mani. Quella bambina era Mariantonia Samà, meglio conosciuta come la Monachella di San Bruno.
Sembra, secondo quello che ancora si racconta e che tanto si è scritto, che proprio dopo aver bevuto l’acqua di quel gorello, Mariantonia abbia preso ‘i spirdi: ossessione, stato di chi è posseduto dal demonio.
Proseguendo la passeggiata, si imbocca ‘u vijùalu do’ passu, che scende alla fiumara: una gola ripida, affogata tra pareti perpendicolari ricoperte da rovi, puddhicari e sciòlessi, da cui si può apprezzare solo una limitata porzione di cielo. In fondo, poco più sopra della briglia, all’altezza di Conticello, c’è ancora la nicchia con l’icona di una madonna, a significare il sentimento di venerazione e compunzione: punto obbligato per farsi il segno della croce e recitare una preghiera. Quasi a fianco della madonneddha, una croce arrugginita in ferro sta’ ad indicare la tragedia di una vita tragicamente conclusa in quel punto.
Pochi metri più sotto ancora c’è ‘a jhumara ‘e Saluru, linea di confine con Isca. Al di là della fiumara la strada porta aru passu ‘e l’acqua: crocevia e punto preciso dove i proprietari dei terreni irrigui prendevano l’acqua e la mandavano tra i solchi, per innaffiare. Ai piedi della contrada di S. Martino la strada continuava, e forse continua, in territorio Ischitano, verso il vijolo della Galera e quello di Campaneria, fino al centro abitato di Isca ‘u supa.
Questa via di comunicazione è stata di estrema importanza per lo sviluppo dei rapporti sociali e commerciali tra Isca e Sant’Andrea. Fino alla fine degli anni ’60 gli Ischitani facevano questo percorso per vendere i loro prodotti e per comprare i nostri e ‘i ‘ndrùali, che avevano proprietà ad Isca, per pagare ‘a fundària. Attraverso questa strada, molti andreolesi scapparono dalla furia francese e si salvarono grazie all’ospitalità degli Ischitani. Sul vijùalu del passo correva anche ‘u zzìu ‘Ntoni e maddamma Rosanna (Rosanna Codespoti, di 50 anni, moglie di Mastro Mico Mesticò), quando furono raggiunti dai militari del generale Lucotte e fatti a pezzi. Più su, verso la montagna, esattamente sotto il timpone dell’Olisi, in una piccola casetta di campagna, i francesi raggiunsero anche don Luigi Mattei, figlio del filosofo-scrittore e poeta Saverio, e lo bruciarono vivo, dopo averlo orrendamente torturato. Era il 4 ottobre del 1806. Quel giorno i francesi trucidarono 46 andreolesi: tra questi c’erano due preti e sei donne; dieci persone avevano un’età tra i settanta e gli ottantacinque anni. Nessun libro di storia ha mai dato cenno a questa orribile carneficina e molti anrdeolesi, sicuramente, sono totalmente all’oscuro di ciò che avvenuto.
Lungo la strada del passo, come in tutte le strade di campagna, c’erano ‘i riposaturi, poggiatoi dei pesi: sporte, sacchi, mazzi di legna, ecc, che i contadini trasportavano sulle spalle o sulla testa.
Arrivati, adunque, alla fiumara, si attraversa la poca acqua che scorre in questo periodo e si prosegue verso il mare, lasciando sulla destra Conticello e il vallone di Maguli. Poche decine di metri al di sotto della briglia c’è il rudere del mulino de’ Migali.
Lungo il Salubro di mulini ne esistevano quattro. A salire, dopo quello già citato della famiglia Migali, c’era quello di Paolo Carioti, il più vicino alla strada del passo. A seguire c’era poi quello di don Saverio Carioti, ceduto a Vittoria Migali e poi alla famiglia Jannoni. L’ultimo, sotto la frana ‘e l’Ùalisi, c’era il mulino della famiglia Mattei ( dove i francesi hanno bruciato Luigi), venduto a suo tempo alla famiglia Maggisano. Di tutto questo non rimane che qualche labile traccia, ormai avvolta dai canneti e de’ ruvettari. La strada continua ancora a scendere, passando ai piedi del timpone dell’arciprete e di Peterisari, fino alla Chiesa di Campo. In questa chiesa, di origine basilliana, la gente si radunava e si raduna ancora a ferragosto, per onorare la Madonna. In tempi antichi vi passava davanti anche ‘a Via Randa, dove ogni anno, si svolgeva la fiera degli animali.
Dopo una breve sosta si continuerà a salire e si passerà per Pezzullo, piccola località dove erano concentrate le caselle dei vovari, per il ricovero dei buoi. Le vacche, oltre a fornire qualche vitello ed il latte, servivano per trainare i carri, che erano gli unici mezzi di trasporto fino ai primi anni ’60. A ogni vacca i bovari solevano dare un nome: Bianca, Regina, Bandiera, oltre ad insegnargli poche parole di comando, per eseguire alcuni movimenti durante i viaggi: Fo’, per farle camminare; Arriè, per farle fermare; Passa ‘e ccà, vota ‘e ddhà, destruccà, per farle girare.
Alle caselle di Pezzullo tenevano le vacche:
Frustaci Antonio, Girello;
Frustaci Benedetto, do’ Mònacu;
Frustaci Vincenzo, do’ Mònacu;
Notaro Saverio e, per ultimo, fino agli anni ’70, anche Peppinu do’ Mònacu.
Dopo Pezzullo si sale ancora fino a Rigina dove, proprio sullo scoglio della curva, c’è un’altra madonnella, realizzata da Andrea Casentino do’ Rizzu, per devozione, agli inizi degli anni ’50.
Si salirà ancora per poco, percorrendo la provinciale, fino ad arrivare al bivio della strada di Maddalena e dopo qualche centinaio di metri, alle Madonnelle di partenza. Qui, Deo gratias, si farà un piccolo spuntino a base di formaggio e, naturalmente, qualche buona fetta di soppressata. Per la cronaca, va ricordato che una volta, chi proveniva dalla strada di Pezzullo-Rigina, non percorreva la strada nuova di Maddalena, per il semplice fatto che non esisteva; ma proseguendo poco più sopra del bivio si prendeva il vijolo da’ scalèddha che portava fin sotto il convento, dopo aver superato ‘i zimbili de’ Michelini.
Buona camminata e buon ferragosto a tutti.
Sant’Andrea Ionio, Agosto 2008
 

 
 

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