Ogni scena della vita che cammina e che si consuma si fissa negli abissi
impenetrabili e remoti della mente e dell’anima. Col tempo, prima o poi,
molte di esse riaffiorano alla memoria per essere ripercorse e, si fa per
dire, rivissute, fotogramma per fotogramma. La mente conserva anche gli
odori, e quando si combinano le giuste condizioni, resti di lontane vicende
si schiariscono e si proiettano sullo schermo della memoria. Tutto ciò,
senza la pretesa di voler insegnare nenta a nessuno, sono i ricordi; che qui
intendiamo come memoria storica e non come sentimento malinconico per
rimpiangere tempi trascorsi.
Ed è proprio sulla memoria storica, questo
patrimonio del passato ancora vivo, che l’Associazione Romana degli Andreolesi vuole porre l’attenzione. L’A.R.A.,
unca, per trasmettere,
conservare e far rivivere alcuni aspetti dei modelli culturali paesani, ha
pensato di organizzare una passeggiata lungo ‘i vijòla battuti e consumati
dai nostri antenati.
Un percorso escursionistico per educare alla lettura
del territorio e della storia; un modo elementare, come il camminare, per
ascoltare, intendere ciò che è accaduto e favorire la cura del nostro
ambiente. ‘Nzomma, andare per questi sentieri è anche un buon modo per
rimanere collegati ai nostri progenitori e occuparsi con premura del nostro
passato nonché, appuntu e perciò, di noi stessi.
All’inizio si era pensato di ripercorrere la strada degli antichi mulini,
partendo dai ruderi che si trovano sul torrente Salubro, per poi raggiungere
il mulino di Pontecari, quello sulla fiumara di Alaca, edificato alla fine
del ‘600, di proprietà dei marchesi Lucifero. Poi, viste le difficoltà
serie, dovute al percorso molto impegnativo e all’inaccessibilità di alcuni
tratti, si è optato per un itinerario più breve, accessibile a chiunque, ma
non meno importante dal punto di vista storico-culturale e paesaggistico.
Comunque, la possibilità di compiere il tragitto prescelto esiste grazie
all’impegno dei soci del Circolo Cacciatori “Stillo Bruno Pistùalu”, che si
sono prodigati a ripulirlo dai rovi e da altre infinite piante e arbusti che
lo avevano completamente colonizzato già da parecchi anni.
La partenza è prevista per il 13 Agosto, alle 17,30, dalle Madonnelle di
Matalena, poco più sotto della casa che una volta apparteneva a donna
Cuncettina Migali. Percorse poche centinaia di metri in piano, la strada
comincia a scendere leggermente fino all’affaccio di Vriga, dove il panorama
si allunga sullo strapiombo ‘e Saluru e si estende verso il mare, i timponi
di Badolato e S. Caterina e i monti Portella e Cavallera. Proprio cca’,
prima che la pista inizi a scendere seriamente, molti anni arrìadi c’era una
piccola pozza d’acqua che trasudava da uno spuntone di scoglio. Tanto tempo
fa, in una giornata come tante, nella tarda mattinata, Marianna Vivino
tornava con la figlioletta da un fondo che aveva sul Salubro. Dopo aver
fatto tutta la petta la bambina si staccò dalla madre, si accostò a quella
gurna e si chinò per bere, raccogliendo l’acqua nell’incavo delle piccole
mani. Quella bambina era Mariantonia Samà, meglio conosciuta come la
Monachella di San Bruno.
Sembra, secondo quello che ancora si racconta e che tanto si è scritto, che
proprio dopo aver bevuto l’acqua di quel gorello, Mariantonia abbia preso ‘i spirdi: ossessione, stato di chi è posseduto dal demonio.
Proseguendo la passeggiata, si imbocca ‘u vijùalu do’ passu, che scende alla
fiumara: una gola ripida, affogata tra pareti perpendicolari ricoperte da
rovi, puddhicari e sciòlessi, da cui si può apprezzare solo una limitata
porzione di cielo. In fondo, poco più sopra della briglia, all’altezza di
Conticello, c’è ancora la nicchia con l’icona di una madonna, a significare
il sentimento di venerazione e compunzione: punto obbligato per farsi il
segno della croce e recitare una preghiera. Quasi a fianco della madonneddha,
una croce arrugginita in ferro sta’ ad indicare la tragedia di una vita
tragicamente conclusa in quel punto.
Pochi metri più sotto ancora c’è ‘a jhumara ‘e Saluru, linea di confine con
Isca. Al di là della fiumara la strada porta aru passu ‘e l’acqua: crocevia
e punto preciso dove i proprietari dei terreni irrigui prendevano l’acqua e
la mandavano tra i solchi, per innaffiare. Ai piedi della contrada di S.
Martino la strada continuava, e forse continua, in territorio Ischitano,
verso il vijolo della Galera e quello di Campaneria, fino al centro abitato
di Isca ‘u supa.
Questa via di comunicazione è stata di estrema importanza
per lo sviluppo dei rapporti sociali e commerciali tra Isca e Sant’Andrea.
Fino alla fine degli anni ’60 gli Ischitani facevano questo percorso per
vendere i loro prodotti e per comprare i nostri e ‘i ‘ndrùali, che avevano
proprietà ad Isca, per pagare ‘a fundària. Attraverso questa strada, molti
andreolesi scapparono dalla furia francese e si salvarono grazie
all’ospitalità degli Ischitani. Sul vijùalu del passo correva anche
‘u zzìu
‘Ntoni e maddamma Rosanna (Rosanna Codespoti, di 50 anni, moglie di Mastro
Mico Mesticò), quando furono raggiunti dai militari del generale Lucotte e
fatti a pezzi. Più su, verso la montagna, esattamente sotto il timpone dell’Olisi,
in una piccola casetta di campagna, i francesi raggiunsero anche don Luigi
Mattei, figlio del filosofo-scrittore e poeta Saverio, e lo bruciarono vivo,
dopo averlo orrendamente torturato. Era il 4 ottobre del 1806. Quel giorno i
francesi trucidarono 46 andreolesi: tra questi c’erano due preti e sei
donne; dieci persone avevano un’età tra i settanta e gli ottantacinque anni.
Nessun libro di storia ha mai dato cenno a questa orribile carneficina e
molti anrdeolesi, sicuramente, sono totalmente all’oscuro di ciò che
avvenuto.
Lungo la strada del passo, come in tutte le strade di campagna, c’erano ‘i riposaturi, poggiatoi dei pesi: sporte, sacchi, mazzi di legna, ecc, che i
contadini trasportavano sulle spalle o sulla testa.
Arrivati, adunque, alla fiumara, si attraversa la poca acqua che scorre in
questo periodo e si prosegue verso il mare, lasciando sulla destra
Conticello e il vallone di Maguli. Poche decine di metri al di sotto della
briglia c’è il rudere del mulino de’ Migali.
Lungo il Salubro di mulini ne esistevano quattro. A salire, dopo quello già
citato della famiglia Migali, c’era quello di Paolo Carioti, il più vicino
alla strada del passo. A seguire c’era poi quello di don Saverio Carioti,
ceduto a Vittoria Migali e poi alla famiglia Jannoni. L’ultimo, sotto la
frana ‘e l’Ùalisi, c’era il mulino della famiglia Mattei ( dove i francesi
hanno bruciato Luigi), venduto a suo tempo alla famiglia Maggisano. Di tutto
questo non rimane che qualche labile traccia, ormai avvolta dai canneti e
de’ ruvettari. La strada continua ancora a scendere, passando ai piedi del
timpone dell’arciprete e di Peterisari, fino alla Chiesa di Campo. In questa
chiesa, di origine basilliana, la gente si radunava e si raduna ancora a
ferragosto, per onorare la Madonna. In tempi antichi vi passava davanti
anche ‘a Via Randa, dove ogni anno, si svolgeva la fiera degli animali.
Dopo una breve sosta si continuerà a salire e si passerà per Pezzullo,
piccola località dove erano concentrate le caselle dei vovari, per il
ricovero dei buoi. Le vacche, oltre a fornire qualche vitello ed il latte,
servivano per trainare i carri, che erano gli unici mezzi di trasporto fino
ai primi anni ’60. A ogni vacca i bovari solevano dare un nome: Bianca,
Regina, Bandiera, oltre ad insegnargli poche parole di comando, per eseguire
alcuni movimenti durante i viaggi: Fo’, per farle camminare; Arriè, per
farle fermare; Passa ‘e ccà, vota ‘e ddhà, destruccà, per farle girare.
Alle caselle di Pezzullo tenevano le vacche:
Frustaci Antonio, Girello;
Frustaci Benedetto, do’ Mònacu;
Frustaci Vincenzo, do’ Mònacu;
Notaro Saverio e, per ultimo, fino agli anni ’70, anche Peppinu do’ Mònacu.
Dopo Pezzullo si sale ancora fino a Rigina dove, proprio sullo scoglio della
curva, c’è un’altra madonnella, realizzata da Andrea Casentino do’ Rizzu,
per devozione, agli inizi degli anni ’50.
Si salirà ancora per poco, percorrendo la provinciale, fino ad arrivare al
bivio della strada di Maddalena e dopo qualche centinaio di metri, alle
Madonnelle di partenza. Qui, Deo gratias, si farà un piccolo spuntino a base
di formaggio e, naturalmente, qualche buona fetta di soppressata. Per la
cronaca, va ricordato che una volta, chi proveniva dalla strada di
Pezzullo-Rigina, non percorreva la strada nuova di Maddalena, per il
semplice fatto che non esisteva; ma proseguendo poco più sopra del bivio si
prendeva il vijolo da’ scalèddha che portava fin sotto il convento, dopo
aver superato ‘i zimbili de’ Michelini.
Buona camminata e buon ferragosto a tutti.
Sant’Andrea Ionio, Agosto 2008
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