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IL TEATRO DI SANT'ANDREA

 

(Per lo studio e la divulgazione della cultura andreolese)

 

Tradizionalmente, gli Andreolesi sono sempre stati intraprendenti e all’avanguardia. Grandi lavoratori, industriosi, pronti al sacrificio e sempre alla ricerca di un modo di vivere che garantisse loro sicurezza e benessere. Questo intenso desiderio di migliorare li ha spinti ad emigrare e prosperare in tutti gli angoli del mondo. Il Paese era una volta in un abisso di povertà, giudicando secondo i canoni di oggi ma nessuno pensava di essere povero. Gli Andreolesi continuavano imperterriti la loro vita quotidiana accettando sia la buona che la cattiva sorte. Alla base dell' accettazione di un’esistenza imprevedibile e incerta si cela uno dei segreti meglio conservati dagli Andreolesi: il Teatro. Inizialmente era stato allestito nell’Asilo Infantile delle Suore Riparatrici. Consisteva di un palcoscenico temporaneo nel cortile tra le scale che portavano al refettorio. Madre Pia, Madre Benita e Madre Gioconda erano responsabili delle varie rappresentazioni teatrali. Ricordo bene anche i divi del palcoscenico! Nuzza, figlia di Ndruzzu da Carbinera, sua cugina, la sorella di Angiolino Codispoti e Mariannina Ranieri.

Le rappresentazioni erano talmente popolari che il teatro fu trasferito all’Oratorio. Qui ebbe un successo strepitoso soprattutto grazie alla insaziabile sete di cultura degli Andreolesi. I principali artefici dell' immenso successo furono Don Bruno Cosentino (Colabati) e Don Ciccio Cosentino (sì, Don Ciccio aveva il cuore di un gigante). Don Bruno era il responsabile della costruzione dell’auditorio mentre Don Ciccio era la forza dinamica dietro allo sviluppo artistico e organizzativo. Don Bruno, conduceva una vita austera e frugale ma la sua generosità non conosceva frontiere quando si trattava di dare alla gente di Sant’Andrea una guida spirituale. Don Ciccio, aveva un amore profondo verso la gioventù e faceva di tutto per di fornire loro l’ambiente ideale adatto alla loro crescita.

All' inizio le rappresentazioni furono messe in scena su un palcoscenico provvisorio come all’asilo. Gli spettatori dovevano portare le loro sedie. L' iniziativa fu un successo anche perché Don Bruno venne in aiuto fornendo i fondi necessari per costruire l'attuale Teatro dietro alla chiesa. Io sono abbastanza avanti con gli anni da ricordarne i lavori in corso. Sotto la guida di Don Ciccio l’Oratorio diventò un alveare di laboriosità sia dal punto di vista spirituale che da quello ricreativo. Le rappresentazioni erano molto frequenti, spesso anche una al mese. Mentre una era in scena, già si facevano i preparativi e le prove per quella successiva. Anche il sottoscritto faceva parte del gruppo ma, nonostante abbia recitato in ruoli da protagonista, devo riconoscere che le vere star erano Nicolino Romeo (oggi dott. Romeo), Bruno Lijoi (segretario delle scuole medie), Enzo Lijoi (il figlio di Ntuani do Tamburrinaru) e mio zio, Vincenzo Iorfida. Quando questi recitavano in drammi e tragedie riuscivano a strappare lacrime alle pietre. Ogni rappresentazione drammatica era immediatamente seguita da una scenetta comica. Nelle commedie, il trio Alfonso Dominijanni (do Panificiu), Gerardo Betro’e Gentile Dominijanni era imbattibile per la sua genialità. La gente si piegava in due con le lacrime agli occhi per le risate. Ho saputo che oggi Gerardo conduce vita ritirata, ma al tempo era il sovrano incontrastato di U Castiaddhu. Come cambia la vita! Bruno Migali era senz’altro il campione indiscusso per quanto riguardava il trucco.

Con la caduta del Fascismo e l’avvento del Comunismo e Socialismo, nuove forze si sono riversate nell’arena della cultura. Fu fondato un Centro di Cultura  con l’intento di influenzare gli Andreolesi, e con esso un Teatro. Il divo del palcoscenico era Vincenzo Frustaci (figlio di Bruno e Veneranda) che aveva ottime credenziali in campo teatrale. Dopo aver lasciato il Seminario si unì a una troupe di attori professionali e viaggiò per tutta l’Italia. Alla fine il teatro del Centro di Cultura fallì per mancanza di luoghi dove poter recitare. I loro attori erano bravi come noi e bisogna dargli credito per aver permesso alle donne di recitare. Hanno avuto il coraggio di aprire una breccia e nuove strade per la cultura andreolese.

Nel 1945 Don Severino Bevivino, figlio di Ciccio e Pualita, ritorno’ a Sant’Andrea da Cardinale, dove era stato Arciprete. Si butto’ a capo fitto nella direzione dell’Oratorio, rimpiazzando Don Ciccio, il quale in quei tempi aveva assunto la guida della Chiesa Matrice e non aveva abbastanza tempo da dedicare al suo amatissimo Oratorio. Sotto la guida carismatica di Don Saverino il palcoscenico subì una radicale trasformazione. Nuove luci, ampliamenti e nuovi scenari. Dirigevano i lavori Gerardo Betro’ e Domenico Vitale (figlio di Vincenzo), mentre ai lavori di falegnameria contribuirono Cece’ Dominijanni e suo fratello Bruno (figli di Vincenzino e Colabati) e Saverio e Nicola Bressi, figli di Micu e Terramuatu.  Abbiamo contribuito tutti; quelli di noi con meno talento facevano viaggi a Soverato per l’acquisto del legno necessario per il progetto. Sono orgoglioso di dire che eravamo un gruppo affiatato e intraprendente, considerando il poco che avevamo a disposizione. L’esperienza acquisita in quel tempo ha valore inestimabile ed e’ stata una risorsa quando, dopo molti anni, ho dovuto lavorare a contatto con il pubblico. Certo, ero nervoso ma sempre composto e in controllo della situazione.

All’inizio del 1946, il teatro subì ulteriori modernizzazioni. I pavimenti furono abbassati e la loggia fu modificata per inserire il cinema. Io non ho mai visto i lavori ultimati perchè lasciai Sant’Andrea proprio quell’autunno. Sono ritornato a giugno del 2001 e mi sono recato all’Oratorio. L’ho trovato chiuso con un lucchetto. Anche la Chiesa era chiusa. Avrei così tanto voluto offrire una preghiera a Maria Ausiliatrice, come facevo da bambino e giovane cattolico. Memorie di un’era passata scorrevano come fiumi nella mia mente e ho avuto la sensazione di risentire il trambusto, le risate e il baccano mentre Don Bruno e Don Ciccio ritornavano in vita.

A Francesco Romeo, Alfredo Varano e a tutti i responsabili per questo nuovo ciclone culturale elettronico, offro la mia gratitudine e i miei sinceri ringraziamenti. Anche ad Anna, la mia fedele traduttrice che, meglio di ogni altro, riesce a catturare i miei pensieri e scriverli nella più bella lingua al mondo: l’italiano. A tutti gli Andreolesi, dovunque voi siate, ‘VI AMO TUTTI’. Se qualcuno si dovesse chiedere perché ho scelto di scrivere in inglese, vorrei garantire  a tutti che non e’ mancanza di amore verso la lingua di Dante ma la mia inabilità di esprimere i miei pensieri. Dopo 56 anni il mio vocabolario italiano lascia molto a desiderare. Le memorie sono intatte ma non l’abilita’ di esprimerle. Spero che potrete trovare in fondo al cuore la bontà di perdonarmi.

Angelo Iorfida
(Traduzione di
Anna Mongiardo Goodman)

 

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